Archive for Storia dell’automobile

Le 5 automobili più iconiche del mondo dei fumetti

Il mondo dei fumetti è popolato da eroi e personaggi che quasi sempre, per meglio imprimersi nell’immaginario collettivo e risultare subito riconoscibili, hanno bisogno di alcuni punti fermi e costanti che si ritrovano avventura dopo avventura per costituire una continuity ed uno scenario che sappia diventare “familiare”.
A questo scenario appartengono molto spesso anche le automobili, che per alcuni “eroi di carta” rappresentano un’estensione senza la quale, forse, non sarebbero gli stessi!

Vediamo insieme quali sono le 5 auto più iconiche nelle tavole a fumetti, cercando di restringere il campo ai veicoli realmente esistenti.

La Jaguar E-Type di Diabolik

 

È probabilmente la più iconica in assoluto tra tutte le automobili del fumetto italiano: le imprese criminali di Diabolik vengono compiute a bordo di una inconfondibile Jaguar E-Type nerissima come il travestimento del personaggio, e che è legata indissolubilmente alla sua figura. Il suo design è semplice, filante ed accattivante, ma naturalmente nelle avventure è equipaggiata anche di marchingegni ed accessori unici per sfuggire agli inseguitori. Proprio il suo più agguerrito nemico, l’ispettore Ginko, è fedelissimo ad un’altra vettura dal design molto speciale: vediamo quale!

La Citroën DS dell’ispettore Ginko

Proprio così… il principale avversario di Diabolik è sin dagli esordi al volante di una “dea”, la Citroën DS, manifestazione ed esternazione della sua giovanile passione per i motori. Il suo legame con la DS è strettissimo, hanno spesso provato a fargli cambiare auto, ma la silhouette inconfondibile di quest’auto sempre considerata paradigma di innovazione l’ha sempre fatta preferire anche ai lettori.
Solo la fedeltà al marchio del double chevron l’ha poi convinto a passare ad una Citroen XM, quando proprio il chilometraggio della “deesse” era diventato troppo elevato.

La Fiat 500 di Lupin III

Va detto che il ladro gentiluomo inventato in Giappone è sempre stato visto al volante di diversi veicoli, tutti però con la caratteristica di essere fedelissime riproduzioni, curate nei minimi particolari, degli originali, dalla Mercedez-Benz SSK fino all’Alfa Romeo Grand Sport. Tuttavia, da quando Hayao Miyazaki lo ha messo al volante di una scattante Fiat 500 nel lungometraggio “Il castello di Cagliostro”, la piccola utilitaria italiana ha iniziato ad affiancare Lupin in tutte le sue avventure, divenendo compagna perfetta per il suo stile ironico e scanzonato.

L’Alfa Romeo Giulietta Sprint di Valentina

Lei è senza alcun dubbio il più famoso personaggio femminile del fumetto italiano: la fotografa milanese Valentina Rossella, creata dal genio di Guido Crepax e più nota solo come Valentina, ha incarnato in maniera esemplare lo Zeitgeist – ossia lo spirito del tempo – dell’Italia tra il 1965 ed il 1995. Il contesto più che borghese nel quale si muoveva Valentina nelle sue storie molto cervellotiche e poco a base di azione imponeva una vettura capace di esprimere eleganza, sobrietà, un tocco di narcisismo e di sofisticazione. Nulla di meglio quindi della Alfa Romeo Giulietta Sprint, un vero capolavoro di design Made in Italy guidato da una irriducibile sognatrice.

Il maggiolone Volkswagen Typ 1 di Dylan Dog

Una relazione strettissima lega infine il fumetto più rivoluzionario degli ultimi 30 anni in Italia al suo scassatissimo e malmesso Beetle Volkswagen del 1967, con tanto di targa personalizzata DYD666. Per quest’auto va attuato il principio della sospensione dell’incredulità, in quanto non di rado viene sfasciata o distrutta per poi ripresentarsi intatta nell’albo successivo nonostante il suo proprietario sia perennemente in bolletta. Curiosa la storia su come L’indagatore dell’incubo ne sia venuto in possesso, svelata solo nell’albo N°200 della serie: fu la parcella per il suo primo caso risolto…
In un recentissimo albo sembra giunta l’ora di pensionare il vecchio maggiolone, che però per qualche arcano motivo non abbandona il suo proprietario prima che venga rescisso un “diabolico” incantesimo. A quel punto, proprio il maggiolone viene riassemblato e torna in possesso di Dylan, con la carrozzeria originaria ma finalmente messo a norma in quanto a motore!

Breve storia del Maggiolino che va in pensione

È una storia molto lunga quella del Maggiolino Volkswagen, che prende le mosse addirittura dall’epoca della Germania nazista. Fu lo stesso Hitler a desiderare di rendere l’automobile in generale più accessibile e non un privilegio riservato a pochi, trasformandola per l’appunto in auto del popolo ovvero Volkswagen, anche se all’inizio il suo nome fu KDF-Wagen.
Obiettivo era quello di raggiungere la “forza attraverso la gioia” come sintetizzava la sigla del dopolavoro tedesco di quei tempi, con un progetto che – nato sotto l’egida della svastica – non ha inizialmente attecchito proprio a causa della guerra. Nei decenni successivi i mutati scenari gli hanno però permesso di crescere ed evolversi diventando una vera world car, una delle auto più amate del mondo, con una diffusione strepitosa e una altrettanto concreta influenza sui costumi della società.

Il secondo passaggio di questa storia fuori dal comune è rappresentato dal suo vero rilancio e dalla vera esplosione del suo fenomeno: la fabbrica della cittadina di KDF-Stadt, diventata dal 1945 Wolfsburg, inizia a produrre in serie un veicolo che si fa forte di 3 caratteristiche essenziali e fuori dal comune che messe insieme ne favoriscono le potenzialità infinite:

  • un motore boxer a 4 cilindri raffreddato ad aria
  • un robusto telaio a piattaforma che supporta una carrozzeria di eccezionale aerodinamicità
  • affidabilità ai vertici, assicurata dalla sperimentazione in ambito bellico

La produzione raggiunge così in breve tempo le 10.000 unità e la sua esportazione non sembra più un miraggio, anzi, diventa lo strumento che ne moltiplica il successo, prima nei Paesi Bassi e successivamente addirittura negli Stati Uniti, dove la sua originalità attecchisce smentendo ogni previsione se si pensa agli standard delle auto statunitensi.

L’espansione di quello che in Germania viene chiamato Kafer, ossia scarabeo, è vertiginosa, e raggiunge ben 29 paesi nel 1951 (questa cifrà arriverà addirittura a 140) mentre nel 1955 si celebra addirittura il milionesimo esemplare prodotto.

Anche l’Italia rientra nel programma di espansione, e sin dal 1954 sul nostro mercato si impone con il suo look così sbarazzino un modello come il Maggiolino, che pur costando di più rispetto alle utilitarie nostrane dell’epoca ed essendo persino inferiore ad esse in termini di prestazioni pure, viene amata non solo per l’aspetto insolito ed accattivante ma anche per la sua comprovata longevità, per la qualità costruttiva e da molti anche per la disinvoltura con cui sa muoversi anche su terreni più accidentati e sconnessi.

I suoi pregi la trasformano in un’auto apprezzata a qualsiasi latitudine, rendendola nei decenni a seguire un modello a diffusione planetaria in qualsiasi continente. Dieci milioni di esemplari nel 1967, addirittura 15 milioni nel 1972 testimoniano come Maggiolino, da piccola intuizione, sia diventato una mania con pochissimi rivali, e naturalmente il progresso della tecnica e delle tecnologie di produzione hanno permesso di aggiornare i vari modelli rendendoli ancora più confortevoli e riccamente equipaggiati, spingendo verso l’alto anche potenze disponibili e cilindrate.
Continua ad essere una delle auto più amate al mondo anche quando viene introdotta una variante iconica come la sua versione cabrio (per intenderci, quella guidata dal personaggio di un fumetto storico come Dylan Dog, a testimonianza della sua influenza nella cultura occidentale) mentre il 1970 è l’anno in cui debutta una versione dal frontale allungato, al quale viene subito appioppato l’affettuoso nome di Maggiolone.

La prima Volkswagen messa in commercio continua ad essere presente nella gamma anche quando si affacciano nuovi modelli Volkswagen che faranno anch’essi la storia come Passat o Golf, e la sua epopea prosegue fino al 2003.

Non riscuote lo stesso successo la rivisitazione in chiave retrò  al debutto nel 1997 e chiamata New Beetle, che viene accolta tiepidamente in Europa e con un po’ di entusiasmo in più negli Stati Uniti. La sua seconda serie, introdotta nel 2011 ad immagine e somiglianza del fenomeno iniziale, uscirà definitivamente di scena e produzione l’anno prossimo con un pensionamento dettato dell’evolversi del gusto e della moda, che calerà il sipario sulla storia di una delle auto più iconiche mai prodotte e che continuerà però ad essere oggetto di attenzioni, ne siamo certi, da parte dei collezionisti.

L’omino Michelin compie 120 anni

C’è una curiosa storia dietro uno dei più antichi marchi registrati che si conoscano, e oggi presente tra le nostre pagine perché legato ovviamente al mondo dell’automobile.

Questo marchio compie in questo anno 2018 il suo compleanno numero 120, e nacque quando Éduard Michelin in visita all’Esposizione Universale di Lione del 1898 fu folgorato da una installazione, una pila di pneumatici. Il suo pensiero fu: “Se avesse un paio di braccia, sembrerebbe proprio un omino!”


A quel punto, l’artista Marius Rossillon, in arte “O’Galop”, diede forma a questa fantasiosa idea realizzando Bibendum, un personaggio che da allora accompagna le generazioni di guidatori in tutto il mondo al punto da essere riconosciuto dal Financial Times come “Miglior logo della storia”.

Il primo manifesto del quale fu protagonista l’omino tutto pieghe è assolutamente storico e straordinario, perché al personaggio è associato il celebre verso di un’Ode di Orazio, “Nunc est Bibendum” (per chi non mastichi un po’ di latino, “Ora si deve bere”) intendendo con questo slogan non un invito ad ubriacature moleste, poco compatibili con la guida, ma sottindendendo che i pneumatici Michelin “bevono” gli ostacoli.

Vi proponiamo a corredo dell’articolo proprio la versione originaria del primo manifesto… oltre all’evoluzione moderna di un personaggio diventato iconico e noto a livello planetario!

 

 

La formula magica dell’evergreen Fiat Panda

Nel segmento delle piccole, che si parli del mercato italiano come di quello europeo, l’auto più venduta ed apprezzata è sempre quella: parliamo di Fiat Panda, che è oggi giunta alla sua terza generazione effettiva e porta con sé un enorme carico di storia e di storie.

Sin da quando nel lontano 1980 Giorgetto Giugiaro ha varato il suo progetto spartano e per l’epoca del tutto rivoluzionario, Panda è entrata nell’immaginario collettivo, diventando sinonimo stesso di automobile!

Con le sue linee spigolose e squadrate, la prima Panda ricordava tantissimo una jeep in miniatura ed era una meravigliosa icona di libertà e di essenzialità, spinta nelle 2 versioni originarie (la 30 e la 45) dal motore bicilindrico derivato dalla Fiat 126 e dal 4 cilindri montato sulla Fiat 127.
Sorprende, a riguardarla oggi, la lungimiranza di Giugiaro, che aveva già intuito come il concetto di spaziosità fosse destinato a diventare cruciale. Basti pensare che, su una vettura che all’epoca misurava appena 3,38 metri, il portellone posteriore nascondeva una capacità di ben 270 litri, un’enormità se raffrontati alle specifiche dei modelli più attuali!

Panda ha incarnato un nuovo, vincente modo di intendere l’auto, e attraverso i decenni passando per la sua seconda generazione ed arrivando oggi alla terza ha saputo mantenere tutto il meglio di sé, cambiando come ovvio ma senza tradire né lo spirito né le sue origini.
Pian piano è diventata un mini SUV con posizione di guida sempre più elevata e destinato prevalentemente all’uso urbano, ed oggi Panda è un nome che siamo fieri ed orgogliosi di poter tramandare alle generazioni, una vera intramontabile icona che ha saputo costruirsi un mondo a parte.

Una grande viaggiatrice anche in fatto di produzione: se al debutto la globalizzazione e la delocalizzazione erano concetti ancora lontani, e la loro assenza permetteva quindi un massivo impiego di forza lavoro negli stabilimenti di Mirafiori, Desio e Termini Imerese, in seguito Panda è “emigrata” negli stabilimenti polacchi di Tychy per poi tornare, da autentica giramondo qual è, in quelli nostrani della nuova linea di produzione a Pomigliano.

La “formula Panda” ha qualcosa di magico che la rende eterna nel panorama delle 4 ruote, e nessuno di noi nasconde una buona dose di entusiasmo nell’attesa dell’annunciata quarta generazione!

 

L’avanguardia del mondo DS ha le sue radici in una “Dea”

Come abbiamo avuto modo di analizzare in un paio di articoli dei giorni scorsi, da alcuni anni Citroën ha riportato in auge un nome che ha fatto la storia non solo del marchio in sé, ma del design dell’auto nel suo complesso.

DS, dopo essere stato proposto a partire dal 2008 come speciale allestimento “di lusso” che arricchiva la camma Citroën con modelli dall’immagine prestigiosa, ha via via riscontrato sempre maggiore successo fino a diventare marchio indipendente, un’entità autonoma e ben definita senza più il logo del double chevron, caratterizzata da ricercatissime scelte stilistiche molto personali sia per la carrozzeria che per l’abitacolo.

La “genesi” del nome DS ha radici lontanissime e gloriose: correva il 1955 quando venica presentata la Citroën DS, una vettura che con la sua linea anticonformista ha segnato un’epoca per il suo impatto estetico inconfondibile ancor oggi.
Slanciatissima e con l’impressione di essere “rannicchiata” sul posteriore pronta a scattare, con le ruote semi-carenate, godeva di un coefficiente di penetrazione aerodinamica strabiliante per l’epoca.

Il tutto fu opera dell’italiano Flaminio Bertone al design e del progetto di André Lèfebvre, due figure geniali la cui collaborazione ha fatto la fortuna del marchio francese.
Anche la meccanica della DS era per l’epoca rivoluzionaria, per le sospensioni oleopneumatiche che offrivano un’ottima azione ammortizzante e rendevano il veicolo autolivellante, ed inoltre la stessa frizione era idraulica per una trasmissione semiautomatica.
Simili innovazioni e le innegabili doti stradali hanno garantito alla Dea (la pronuncia della sua sigla in francese suona proprio come Déesse) un successo commerciale durato ben 20 anni, ed anche un’elevata competitività nel mondo dei Rally.
Ancor oggi questa vettura dalle linee inconfondibili ed iconiche è oggetto di collezionismo, in particolar modo nelle sue versioni più raffinate come la Pallas e nell’affascinante silhouette Cabrio.

È ancor oggi riconosciuta come uno dei modelli più influenti nella storia dell’auto, per la sua forza di innovazione tecnico-stilistica, basti pensare che il Premio Auto del Secolo l’ha vista piazzarsi al terzo posto, dietro solo alla Ford T ed alla Mini.

Nel 1955 la sua sigla stava per “Desiderata Speciale”: nel terzo millennio il nuovo corso che ha reso questa sigla un marchio di prestigio ha invece assunto il significato di Different Spirit, qualcosa di realmente diverso per chi ama distinguersi e guidare un veicolo che combini nobiltà e tecnologia, stile raffinato ed eccezionale dinamismo.